L'origine dell'uomo (1871) (The descent of man, and selection in relation to sex) si inserisce nel grande dibattito avviato con "L'origine delle specie" fra scienziati, teologi, filosofi dell'Ottocento, soprattutto Lamarck, Lyell, Huxley e molti altri, ma in particolare sembra una risposta scientificamente necessaria da parte dell'autore alle prese di posizione antievoluzionistiche del vescovo Wilberforce, e mira decisamente a dimostrare l'origine animale dell'uomo sulla base di precise considerazioni anatomiche, fisiologiche ed embriologiche. La somiglianza anatomica ed embriologica dell'uomo con gli animali (specialmente quelli considerati superiori) era stata chiarita in modo tale che ormai l'unica plausibile spiegazione risultava quella di una comune discendenza.
Ben più difficile appariva invece la questione dell'origine delle facoltà morali ed intellettuali dell'uomo. Per dimostrare che non vi è una differenza fondamentale fra le facoltà mentali dell'uomo e quelle dei mammiferi superiori Darwin illustra la ricchezza e complessità di atteggiamenti che si notano nel comportamento di questi animali. Lo fa raccontando episodi che mostrano in essi i diversi stati di piacere, dolore, terrore, gelosia, ecc. Accanto a queste situazioni emotive, in cui si intravede vividamente la somiglianza con l'uomo, vi sono anche chiare analogie di atteggiamenti conoscitivi come curiosità, meraviglia, capacità di apprendere e di usare strumenti. Egli non misconosce certo le differenze fra gli animali e l'uomo. La più grande fra esse è il senso morale o coscienza; ma anche per questa è possibile trovare una spiegazione scientifica, individuando la sua origine nell'istinto di socievolezza e di solidarietà che manifestano gli animali.
La prosa darwiniana è molto 'narrativa' e di grande chiarezza e l'ascolto ne risulta facilitato anche grazie alla perizia nella lettura di Eugenio Farn.
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